giovedì 31 marzo 2011

E' NATO

BASTA CON I VELENI DI STATO L’ITALIA VITTIMA DELLE ARMI CHIMICHE FA SENTIRE LA SUA VOCE

NASCE IL COORDINAMENTO DEI COMUNI CONTAMINATI DAGLI ARSENALI SEGRETI

Il conflitto in Libia rilancia l’allarme sullo spettro delle armi chimiche, accumulate da Gheddafi in grande quantità. Ma ci sono molti comuni italiani che da almeno settant’anni sono vittime degli stessi veleni. Dalla Tuscia alla Lombardia, dalle Marche alla Campania, dal Lazio alla Puglia terreni, stabilimenti e discariche sottomarine continuano a ospitare l’eredità del colossale arsenale di armi chimiche creato dal fascismo e nascosto dai governi della Repubblica. Adesso un gruppo di associazioni e comitati ha deciso di riunirsi per chiedere che questa scia di morte venga spezzata, invocando che venga finalmente fatta chiarezza sui rischi di questa bomba sepolta nel mare e nel terreno del nostro paese.

Il Coordinamento Nazionale per il monitoraggio e la bonifica dei siti contaminati da ordigni bellici chimici inabissati o interrati durante e dopo il secondo conflitto mondiale si è riunito la scorsa settimana nella sede laziale di Legambiente. Il Coordinamento è formato da rappresentati di associazioni e comitati operanti nelle zone più colpite in Italia: Lago di Vico, Molfetta, Colleferro, Ischia, Pesaro e Cattolica. Presto entreranno a far parte del Coordinamento nuove realtà in rappresentanza di altre aree fortemente colpite in Lombardia, Piemonte, Lazio e Abruzzo.

Il problema di questi residuati bellici ha origini lontane ma effetti ancora attuali. L’arsenale chimico venne creato dal regime fascista all’inizio degli anni Trenta ed è stato il cuore di un programma industriale di armamento colossale, con impianti per distillare gas letali come iprite, arsenico e fosgene in decine di fabbriche costruite dalla Puglia alla Lombardia. Durante la guerra a questa sterminata riserva di ordigni mortali, solo in minima parte usata nelle spedizioni coloniali di Libia ed Etiopia, si aggiunse una scorta mostruose di bombe chimiche trasferita in Italia dagli Alleati. Alla fine del conflitto queste armi sono state nascoste e dimenticate, senza bonificare i siti dove si producevano o le discariche dove sono state sepolte. Una quantità colossale di ordigni è stata gettata in mare dagli americani davanti alle coste di Ischia e a quelle di Molfetta, dai tedeschi davanti a quella di Pesaro mentre l’esercito italiano ha continuato a custodire e sperimentare i gas letali nei boschi del Lago di Vico e persino nel centro di Roma, a pochi passi dalla Sapienza.

Queste armi sono state progettate per resistere nei decenni e mantengono ancora oggi i loro poteri velenosi, soprattutto l’arsenico che si è disperso nei suoli come dimostrano le analisi condotte dalle forze armate nella zona del Lago di Vico o gli esami degli organismi sanitari a Melegnano (Milano). Perché solo una minuscola parte delle strutture militari attive nel dopoguerra è stata parzialmente bonificata: la gran parte degli ordigni è stata nascosta in mare e in terra dal segreto. Questa realtà è stata svelata nel volume-inchiesta “Veleni di stato” del giornalista Gianluca Di Feo, pubblicato da Rizzoli nel 2009, che porta a conoscenza documenti inediti e secretati e dà voce a denunce inascoltate e testimonianze dirette. Grazie a questa pubblicazione, scrupolosa e mai smentita, molti comitati locali che avevano già iniziato un lavoro di ricerca e di denuncia sui danni ambientali e sulle conseguenze per la salute dei cittadini, hanno trovato la conferma a quanto sostenevano da tempo.

Ma soprattutto hanno preso coscienza del carattere nazionale di questo enorme problema, tuttora nascosto alla maggior parte delle persone, e hanno deciso di unirsi in un Coordinamento Nazionale per rafforzare le azioni e le richieste di monitoraggio e bonifica portate avanti dalle singole realtà, tuttora eluse da laconiche risposte del Ministero della Difesa che continua a negare informazioni e collaborazione.

Il Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche

giovedì 24 marzo 2011

COLLEFERRO - 23.03.11

Il ruolo delle fabbriche di armamenti di Colleferro nella guerra libica








Le fabbriche di armamenti storicamente operanti a Colleferro hanno un ruolo da protagoniste anche nella guerra in corso in Libia?
È quanto ci sembra suggerire inequivocabilmente la foto che alleghiamo, con evidenziati i dettagli in questione, pubblicata su La Repubblica del 22 Marzo 2011, pp.10-11.
In essi si legge chiaramente la sigla BPD e parzialmente SIMMEL (SIMM). In causa sarebbero, rispettivamente, BPD per le cariche di lancio delle munizioni di artiglieria da 155mm (1-16-84 verosimilmente indica la data del lotto di produzione; due anni prima del raid aereo americano su Tripoli); Simmel per il proiettile.

Il ruolo della Snia BPD di Colleferro, ora in amministrazione straordinaria, nell’aggiramento delle convenzioni internazionali sulle armi di distruzione di massa è stato evidenziato da G. Di Feo, Veleni di Stato, Milano 2009, BUR, in part. pp.47-48, 232-234. Vendita di armamenti, tra cui anche i 155mm all’Iraq di Saddam Hussein, poi modificati in loco grazie a disegni e test prodotti nei laboratori della Snia BPD, il tutto per costruire alcune delle più tristemente celebri armi chimiche, utilizzate poi dallo stesso dittatore nella guerra Iran-Iraq.
L’azienda madre di Colleferro aveva un mercato fiorente nel nord Africa, nel Mediterraneo
orientale e nella penisola arabica. Come sarebbero arrivati i proiettili da 155mm in Libia?
Direttamente o tramite triangolazioni? Probabilmente in modo diretto nel periodo 1980-1986. E anch’essi furono forniti con le modifiche e le istruzioni necessarie a trasformarli in vettori di gas chimici?

Essendo ormai accertato che la Snia BPD fornì all’Iraq proprio nei primi anni ’80 componentistica e tecnologia per assemblare armi in grado di alloggiare sostanze chimiche, è sensata la congettura che ciò sia avvenuto anche in altri paesi.
Come potrebbe essere verosimile anche la vendita di razzi Firos, come già avvenuto in Iraq, per lanciatori MLRS (Multiple Launch Rocket System), razzi con gittata dai 25 ai 30Km, anch’essi modificabili con gas chimici e oltremodo contenenti sub-munizioni che le identificherebbero come cluster bombs.

La stampa nazionale e internazionale dei giorni scorsi pullula di articoli sul cospicuo quantitativo di armi chimiche ancora in mano a Gheddafi, residuo di quanto non ancora distrutto in seguito all’intesa del 2003, quando la Libia riconobbe le proprie responsabilità civili per la strage di Lockerbie e terminò l’embargo stabilito dalla risoluzione 748/92 dell’ONU.
Per quanto riguarda la Simmel, sicuramente non si tratta dell’attuale formazione societaria, ma della vecchia azienda, fondata nel 1948 e acquisita nel 1988 dal gruppo Fiat con successivo passaggio societario alla Simmel Difesa SpA ora di proprietà Chemring Group PLC.
Gli armamenti che si riconoscono nella foto sono proiettili di artiglieria da 155mm con relative cariche modulari, fiore all’occhiello della produzione locale ed ancora nel catalogo on line alcuni anni fa (consultabile solo in area riservata dal 2004), in tre tipologie: standard range, long range, BCR (Bomblets Cargo Round ovvero Cluster Bombs). Lo stesso dicasi per i razzi Firos dei quali 513 unità di ricambio sono state vendute dalla stessa Simmel Difesa SpA all’Arabia Saudita nell’anno 2006 (transazione bancaria su autorizzazione MAE 12457).
Curioso che la legge 185/90, che regola il transito di armamenti, venne approvata proprio in seguito ad uno scandalo derivante dal coinvolgimento della filiale statunitense di una grande banca italiana nella vendita illegale di armi all’Iraq di Saddam Hussein.
Valuteremo l’opportunità di richiedere agli enti preposti che venga istruita un’indagine
internazionale volta all’accertamento di eventuali arsenali di armi chimiche situati nei paesi che hanno usufruito della tecnologia bellica proveniente da Colleferro.
Ci auguriamo che i nostri concittadini aprano gli occhi sui perversi destini di morte e di ingiustizia potenzialmente o concretamente legati alle produzioni belliche cittadine.

RETE PER LA TUTELA DELLA VALLE DEL SACCO

martedì 8 marzo 2011

MOLFETTA

BOMBE ALL’IPRITE: UN’EREDITÀ SCOMODA

Il bombardamento del porto di Bari avvenuto il 2 dicembre 1943 fu definito dal Generale Eisenhower la sconfitta più pesante dopo quella di Pearl Harbor; tuttavia per una discutibile censura imposta a suo tempo da Winston Churchill (che non voleva si sapesse che sulle navi di Sua Maestà vi erano gli aggressivi chimici da anni posti al bando dal consesso delle Nazioni).
Stime precise dei morti non ve ne sono, tra civili e militari certamente sfiorarono il migliaio. Oltre ai morti per le bombe ed i crolli, tra i quali circa 250 civili baresi, vi furono oltre 800 soldati ricoverati con ustioni o ferite. Dei 617 intossicati da iprite, 84 morirono in Bari. Si ritiene che molti altri siano morti in altri ospedali, sia italiani, sia del Nordafrica, sia dell’America, nei quali furono trasportati.
Almeno duemila bombe, furono stimate dai sommozzatori impiegati, subito dopo la fine della guerra, nella difficile operazione di bonifica
Le operazioni iniziarono nel 1947 e si protrassero per alcuni anni. Per dare un’idea della quantità immane dei vari ordigni recuperati, è sufficiente leggere i rapporti che settimanalmente venivano inviati ai diversi Ministeri interessati ed alla Prefettura. Da questi risulta che i soli ordigni chimici caricati ad iprite assommarono a ben 15.551 bombe d’aereo e 2.533 casse di munizioni (ovviamente il quantitativo di munizionamento ordinario recuperato fu di gran lunga superiore).

Oggi gli ordigni impigliati nelle reti dei nostri pescatori sono in realtà bombe all’iprite, o a caricamento chimico colate a picco con le navi statunitensi che le trasportavano per impiegarle sul fronte italiano.Una realtà ben conosciuta dai pescatori e dagli addetti ai lavori, ma coperta da una certa “riservatezza”:
si rischia di incappare in controlli, verifiche, procedure burocratiche, compromettendo la pesca e i suoi non marginali proventi.
Il problema “del gas”, come viene chiamato dai pescatori di Molfetta, ha inizio nel 1946. Gli incidenti in questione, comunque, non sono esclusivi della marineria di Molfetta che pure conta la casistica più numerosa, ma di tali episodi si hanno notizie anche lungo la costa che va dal Barese al Golfo di Manfredonia. Nel tempo, però è stata la marineria molfettese a pagare il tributo più alto in termini di casi d’intossicazione da iprite.Dal 1946 alla fine degli anni ’90 sono stati ricostruiti 239 casi di intossicazione da iprite.

IL NOSTRO MARE? UNA BOMBA AD OROLOGERIA

L’allarme era già scattato nel luglio 2008, quando il Liberatorio Politico aveva chiesto informazioni a più riprese, senza ricevere alcuna risposta, al Sindaco di Molfetta sugli eventuali monitoraggi fatti nelle acque interessate alla presenza delle bombe all’iprite.
Di fronte al silenzio delle istituzioni cittadine lo stesso Liberatorio il 25 agosto ha chiesto ufficialmente all’ A.R.P.A. Puglia (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale) un monitoraggio delle acque marine comprese nello specchio d’acqua antistante Torre Gavetone per verificare eventuali presenze di sostanze tossiche riconducibili agli ordigni bellici a caricamento chimico presenti.La richiesta scaturiva da una preoccupante segnalazione di un cittadino che aveva denunciato, nella giornata del 27 luglio scorso, degli strani sintomi di bruciore, non consueto, che la propria moglie aveva avvertito a livello del proprio apparato genitale dopo aver trascorso una giornata al mare in località Torre Gavetone.
Nelle ore successive all’evento traumatico, le manifestazioni erano diventate più dolorose e durante un consulto medico era stata riscontrata l’infiammazione vaginale esterna ed interna con gravi lesioni dell’epitelio della mucosa.La lesione ha richiesto un intervento chirurgico con il laser.
Un’altra donna, anche lei presente sulla stessa spiaggia il 27 luglio, ha manifestato, dopo 24 ore, la stessa identica sintomatologia.

Questi i casi di cui si ha conoscenza, ma non si può escludere che ce ne siano stati altri non segnalati o non ricondotti alla permanenza in mare, senza parlare delle numerose centinaia di casi di bagnati che questa estate hanno accusato malesseri vari riconducibili all’alga tossica. Invece sono note le segnalazioni e denunce che nell’ottobre 2008 alcuni pescatori molfettesi hanno presentato al Sindaco , alla Capitaneria di Porto e all’ A.R.P.A. che ha effettuato prelievi di campioni di acqua lungo la costa molfettese.Le mani di Vitantonio Tedesco, presidente della Cooperativa “Piccola Pesca”, parlano da sole:mani gonfie, vescicate e spazi interdigitali screpolati. Lui e gli altri compagni della cooperativa sono stanchi di negare l’esistenza di qualcosa di misterioso che li attacca ogni volta che salpano le loro reti. I loro occhi lacrimano, tossiscono e, a volte, manca il respiro.

Un dossier dell'Istituto per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (I.C.R.A.M.), è chiaro: le analisi hanno rivelato nei pesci dell'Adriatico "tracce significative di arsenico e derivati dell'iprite".
"I pesci dell'Adriatico", spiega Ezio Amato, "sono particolarmente soggetti all'insorgenza di tumori; subiscono danni all'apparato riproduttivo; sono esposti a vere e proprie mutazioni genetiche che portano a generare esemplari mostruosi".Non essendoci limitazioni alle attività di pesca, questi pesci continuano a finire sulle tavole dei consumatori. Con quali conseguenze per la nostra salute?E non basta. Si aggiunga a questo la presenza di un certo numero di bombe sganciate da aerei durante la crisi del Kosovo, per le quali recenti notizie lasciano temere che possa sussistere la presenza di uranio impoverito.

link utili:





alcuni video significativi:

http://liberatorio.splinder.com/post/22404175/molfetta-nellitalia-dei-veleni
http://www.youtube.com/watch?v=LH2cPS4agn4&feature=player_embedded
http://www.youtube.com/watch?v=Dbd3B8BKIOw&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=a_pq98W3QIo&feature=fvwrel
http://www.youtube.com/watch?v=2ClxrT6WyYk&feature=player_embedded
http://www.youtube.com/watch?v=Tk9mxDK5oBw&feature=player_embedded
http://www.tg2.rai.it/dl/tg2/RUBRICHE/PublishingBlock-8f49a286-7527-4264-9979-72b4aca618d8.html

lunedì 7 marzo 2011

MELEGNANO

Riportiamo qui di seguito l'interrogazione al Sindaco del Comune di Melegnano del gruppo consigliare MELEGNANO CITTA' APERTA











Melegnano, 3 novembre 2009
Oggetto: Interpellanza sulla situazione dell'ex Chimica Saronio.

Preso atto delle informazioni diffuse nel corso della Commissione consiliare del 4 maggio 2009 relativa alla situazione dell'ex Saronio e, nello specifico, delle notizie riportate dall'allora dirigente dell'Asl Milano 2 riguardo l'opportunità di procedere a un'indagine epidemiologica sulla popolazione della zona potenzialmente esposta all'inquinamento prodotto dall'ex fabbrica e riguardo l'assenza di fondi pubblici per il finanziamento di tale indagine;

preso atto del verbale della Consulta Ambiente del 16 ottobre 2009 in cui il tema della situazione dell'ex Saronio è stato oggetto di discussione alla presenza dell'assessore comunale all'Ambiente e, tra gli altri, di un esperto facente parte del Comitato scientifico di Legambiente Lombardia, il quale ha fatto presente che le indagini, in corrispondenza dei piezometri, relative alle acque di prima falda riportavano dati di presenza di arsenico superiore ai valori massimi ammessi dalla legge;

venuto a conoscenza del fatto che tali dati, riguardanti la presenza di arsenico nell'acqua di prima falda, risultavano essere a disposizione delle autorità competenti già nel luglio 2009;

considerato che tale informazione, quella relativa alla presenza di arsenico nelle acque di prima falda, risulta essere stata resa pubblica solo a metà ottobre del 2009, nella riunione del 16 ottobre già citata;

preso atto del verbale della Consulta Ambiente del 16 ottobre 2009 in cui l'assessore comunale all'Ambiente informava i presenti circa l'esistenza di una lettera della società Edison, con la quale la stessa società affermava la disponibilità a finanziare e a presentare il progetto per le prove di portata dell'acqua (intervento propedeutico alla realizzazione della barriera idraulica), ma non a finanziare e sostenere altri costi e altri impegni;

considerato che il contenuto della lettera della società Edison è differente dalle affermazioni pubbliche del sindaco, con le quali il primo cittadino affermava che, sulla base della sentenza del Tar e del pronunciamento del Consiglio di Stato, compito della società Edison sarebbe stato quello di sostenere tutti gli oneri connessi alla bonifica ambientale mediante la realizzazione della barriera idraulica;
si interpella l’Amministrazione comunale per conoscere:

1.- se intende finanziare o meno, anche con risorse proprie di bilancio dell'esercizio 2009 (o di quello prossimo 2010), i costi connessi all'indagine epidemiologica proposta dall'Asl Milano 2 (preferibilmente in collaborazione con il comune di Cerro al Lambro e di altri Comuni limitrofi), considerato che dalla Regione Lombardia (assessorato all'Ambiente) pare non siano giunte risposte circa il finanziamento del progetto presentato mesi fa dalla stessa Asl Milano 2 e dalla Clinica del Lavoro di Milano, indagine i cui costi sono stimati in poche migliaia di euro;

2.- se intende farsi carico del problema, posto già mesi or sono nelle riunioni tecnico-istituzionali e riproposto tempo fa anche a questo Consiglio comunale, relativo alle analisi chimiche dei terreni di coltura esistenti nei giardini di alcune abitazioni private della zona ovest di Melegnano e già individuate dalle stesse autorità sanitarie; ciò in considerazione del fatto che tale iniziativa non ha avuto una sua traduzione pratica, ne tanto meno è stata finanziata.

3. - se corrisponde al vero, anche in relazione alle informazioni in possesso dell'amministrazione comunale, dell'avvenuto superamento dei valori massimi ammessi della presenza di arsenico nella prima falda del terreno di Melegnano;

4.- se l'amministrazione comunale intende chiedere alle competenti autorità sanitarie e ambientali l'analisi delle acque anche di seconda falda per la ricerca di eventuali presenze di arsenico;

5.- se e come intende rispondere alla società Edison riguardo il contenuto della lettera;

6.- se intende sollecitare la presidenza della Commissione consiliare "Territorio e Ambiente" per riprendere un confronto sul tema dell'ex Saronio all'interno della Commissione stessa, confronto che dovrebbe essere caratterizzato, data l'importanza, da continuità informativa e da coinvolgimento istituzionale.

Si chiede cortese risposta scritta, copia della lettera della società Edison e di dati sull'inquinamento delle acque di prima falda sopra citato.

ISCHIA

Armi chimiche affondate anche al largo di Ischia: ci sono i documenti












L’Italia fu lordata da discariche di arsenali velenosi: ce n’erano anche nel Golfo di Napoli e nelle acque ischitane

Le campagne ed i mari d’Italia sono disseminati di arsenali chimici prodotti dal fascismo, dal nazismo e dagli Stati Uniti, e poi abbandonati nelle fasi finali e subito dopo la seconda guerra mondiale.
Nel Golfo di Napoli ed in partticolarte all’isola d’Ischia, troviamo traccia degli smaltimenti in alcuni documenti militari americani, la cui sola esistenza è sufficiente a far supporre la presenza di altri atti, ancora oggi rimasti segreti. Si tratta dei “rapporti Brankowitz”, vale a dire di una sorta di sommari di operazioni di trasferimento e di smaltimento in mare di arsenali chimici, operazioni realizzate dalle forze armate americane; ai rapporti di Brankowitz va aggiunta una relazione riassuntiva redatta dal Poligono di Aberdeen.
Questi atti vennero resi pubblici durante la presidenza Clinton, in un’ottica di trasparenza complessiva: dopo l’attentato alle Torri Gemelle, però, la presidenza Bush ha imposto di nuovo il segreto. Il timore è che bin Laden ed i suoi emuli possano utilizzare queste carte (che spesso contengono le esatte posizioni delle discariche) per mettere le mani su armi chimiche le quali, seppur vetuste, sono sempre letali. Una possibilità remota ed improbabile, indubbiamente, ma le autorità americane non hanno voluto rischiare.

In realtà, come molte delle cose teoricamente segrete, è facile trovare questi documenti su Internet…

Uno di questi rapporti è in realtà solo una “Bozza” redatta il 27 aprile 1987 da William R. Brankowitz e relativa ad un “sommario storico sul movimento delle armi chimiche”. La lista si compone di 139 pagine e riguarda una mole di spostamenti fatti dalla fine del secondo conflitto mondiale al 1986. Ad un certo punto si legge che dal primo al 23 aprile 1946 una quantità non specificata di bombe al fosgene è partita da “Auera” (probabilmente trattasi di Aversa, base militare americana) con destinazione “il mare”: è stata, quindi, presumibilmente affondata al largo della costa campana. Quindi, il 6 ed il 7 maggio 1946 un treno composto da tredici vagoni partì sempre da “Auera” ed arrivò a Bagnoli. Qui il materiale (bombe al fosgene) venne imbarcato su una nave (la “Francis Newlands”), che partì il 22 maggio alla volta del deposito navale Theodor, a Mobile, in Alabama (Stati Uniti), dove arrivò il 13 di giugno del 1946 e da lì venne instradato verso un’altra località interna.

Ci sono altri due documenti che trattano dell’effettivo inabissamento di arsenali chimici. In un incartamento di 51 pagine del 30 gennaio 1989, sempre redatto a cura di Brankowitz (“Sommario di alcuni scarichi di armi chimiche in mare effettuati dagli Stati Uniti”), si legge che tra il 21 ottobre ed il 5 novembre, e tra il primo ed il 15 dicembre 1945, nel “Mar Mediterraneo, isola d’Ischia” (con l’aggiunta “vicino a Bari”, sic), sono state affondate quantità non specificate di bombe contenenti fosgene, cloruro di cianuro (“cyanogen chloride”) e cianuro idrato (“hydrogen cyanide”). Purtroppo, contrariamente ad altri casi citati nel rapporto, non viene specificato il punto esatto di affondamento del materiale.

In un altro documento del 29 marzo 2001, redatto a cura del Poligono americano di Aberdeen, viene confermata l’operazione di smaltimento di cui abbiamo appena detto. Anche in questo caso località esatta e quantità precise non vengono riportate. Stavolta, però, si parla di “discarica chimica di Ischia” (quindi un luogo consueto per queste operazioni). Parlando sempre di “discarica chimica di Ischia” viene confermata anche l’operazione di inabissamento svoltasi tra il primo ed il 23 aprile 1946, e si aggiunge che è stata rilasciata in mare una quantità imprecisata di bombe all’iprite ed alla lewisite provenienti dalla solita “Auera”.

Il Golfo di Napoli, in quel periodo, viene utilizzato normalmente come discarica chimica. In data imprecisata, si legge ancora nel rapporto del 2001, 13mila proiettili di mortaio carichi di iprite e 438 barili, sempre di iprite, vengono affondati “nell’area di Napoli”.

Da quanto detto si capisce chiaramente che esistono altri documenti, ancora segreti, che sicuramente precisano anche i punti esatti dove gli arsenali sono stati affondati.


LAGO DI VICO















Circolo Legambiente Lago di Vico